I GIOCHI DEL FASCISMO
Con l'avvento del fascismo e con
la salita al potere di Mussolini nell'ottobre del 1922, lo sport guadagnò una maggiore
importanza. Mussolini fu il primo politico a dare di sé un'immagine di uomo
sportivo. Pochi anni dopo l'instaurazione del regime totalitario, iniziò ad
occuparsi dell'educazione sia fisica che morale dei giovani italiani fascisti.
Durante l'epoca fascista, tutti gli
aspetti della società erano incentrati sull'ideologia, la propaganda, la necessità
di educare e formare secondo i "valori" del regime. Ciò coinvolgeva anche e
soprattutto bambini e giovani: dai motti come «Credere, Obbedire, Combattere» e
«Libro e moschetto», alla grande importanza riservata all'educazione fisica,
alla disciplina e alla forgiatura del carattere; dalla separazione scolastica e
sociale tra sessi (ognuno con diverse strade da seguire, quella dell'economia
domestica per le femmine e quella militare per i maschi) all'appartenenza alle
varie Organizzazioni Giovanili a stampo fascista.
Un
aspetto fondamentale della vita di un bambino e di un ragazzo è il gioco, ma
nel fascismo doveva essere visto come momento
formativo, non come semplice passatempo e metodo di evasione.
Nel gioco l'individuo si mette a confronto con se stesso, per conoscere le
proprie potenzialità ed i propri limiti, e con gli altri, per collaborare nella
costruzione di una strategia o per approfittare dei punti deboli e ottenere la
vittoria. Una simile funzione ludica non poteva non essere appetitosa per
l'ideologia fascista.
Tutte le organizzazioni
giovanili concorrenti vennero soppresse. Nel 1928 Mussolini soppresse anche gli
Scout di matrice cattolica.